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Mag 06, 2009 Attualità, Italia
In tempi di crisi economica, parlare di giovani e di precariato sembra essere passato di moda.
Dopo la riforma del mercato del lavoro iniziata nel 1999 con il pacchetto Treu ( dal nome dell’allora ministro del Lavoro ) alla Legge 30 del 2003, varata dal giuslavorista Marco Biagi assassinato nel 2002, il mercato del lavoro ( e non solo ) in Italia è cambiato in maniera radicale.
Anche la riforma universitaria firmata dall’allora ministro dell’Istruzione Letizia Moratti, ha diviso i corsi di laurea del vecchio ordinamento in 2: una laurea di primo livello di durata triennale, che può essere seguita da una laurea specialistica di durata biennale.
Tutto questo voleva portare ad un inserimento più immediato nel mondo del lavoro, da parte degli studenti universitari che intendevano fermarsi alla laurea triennale ma, sovente, ha portato ad offrire una “sorta” di spezzatino mal digerito dal mercato del lavoro.
Il proliferare poi di stage non retribuiti, contratti a progetto e varie tipologie di lavori flessibili hanno poi fatto il resto.
È altresì vero che la generazione 1000 Euro ( sempre che ci arrivino ), vive una sorta di conflitto con la generazione che l’ha preceduta.
È ormai un dato di fatto che ci sia stato un rovesciamento della piramide.
Ci spieghiamo meglio. In passato, dagli anni Settanta e a seguire, anche con una “bassa scolarizzazione” si poteva ambire ad occupare ruoli “migliori” rispetto al proprio status rappresentato dal titolo di studio conseguito.
Oggi a fronte di una crescente scolarizzazione, spesso non esistono offerte di lavoro equiparabili al proprio curriculum di studi.
Entrando poi nel mondo del lavoro alla soglia dei 30 anni, spesso ci si accontenta e si accettano stage non retribuiti, contratti a progetto e flessibili a cifre irrisorie.
In ultimo l’essere dei “bamboccioni” è una presa di coscienza con cui si deve fare i conti, dopo essere stati “presi a schiaffi” dalla realtà lavorativa e non solo, dei giorni nostri.
Flipmagazine ha però una proposta concreta.
Davanti al progressivo innalzamento dell’età pensionabile, perché non proporre un ruolo di “tutor” ad un lavoratore prossimo alla pensione, affiancandogli un giovane al primo impiego?
Le aziende pagano la metà dello stipendio, per l’altra metà contribuisce lo Stato e, possibilmente, evitando uno stipendio inferiore ai 1000 Euro.
Giriamo la nostra proposta a chi di dovere.
Norman di Lieto
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