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Mag 20, 2012 Attualità, Italia
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Dopo la Paleotelevisione e la Neotelevisione teorizzate da Umberto Eco qualche anno fa, oggi stiamo entrando nell’epoca della Transtelevisione», cioè di una televisione “aperta” e caratterizzata dalla mancanza di precisi confini. Nella Transtelevisione cadono gli steccati interni tra i generi e ogni distanza con le persone che guardano, mentre il pubblico diventa il vero protagonista. I reality show in programmazione da diversi anni hanno stancato gli spettatori, ma il loro modello comunicativo è quello verso cui si sta muovendo la televisione contemporanea.
Chi gestisce le televisioni deve tenere conto di ciò e cercare di sviluppare dei linguaggi innovativi. La fiction di qualità, l’informazione e i grandi eventi sono solo alcuni esempi delle aree verso cui la televisione può muoversi. La Tv è in grado inoltre di aiutare chi guarda a capire quello che accade ogni giorno. Può pertanto recuperare parte dello spirito pedagogico degli inizi, seppure comunicandolo attraverso un nuovo linguaggio.
Molti pensano che la televisione abbia terminato il suo ciclo, in realtà ha ancora delle notevoli possibilità. Internet, ad esempio, oggi sfrutta spesso i prodotti della Tv (su YouTube, ad esempio). I due mezzi si stanno sempre più unendo, ma i contenuti rimarranno in gran parte quelli televisivi. Inoltre, i più giovani stanno su Facebook e insieme guardano la Tv commentando in diretta i programmi.
Essendo la Tv un mezzo potente che possiede una grande capacità d’influenza sulle persone, la politica ha cercato di controllarla per creare consenso. Il controllo eccessivo ha generato però nel tempo un effetto boomerang: la fine della competizione interna e l’omogeneità dell’offerta, che hanno indebolito il mezzo e fatto perdere interesse agli spettatori.
Un altro responsabile della crisi odierna della televisione è il marketing aziendale, il quale ha determinato una perversa corsa all’audience. Infatti, nel sistema televisivo contemporaneo tutti ragionano in termini di Auditel, cioè quel campione di 5.000 famiglie italiane attraverso il quale viene misurata la quantità di spettatori raggiunta da ogni programma. Si ignora dunque di solito il reale livello di gradimento esistente verso il programma e lo si fa erroneamente corrispondere al numero di spettatori che si trovano davanti al video. Pertanto, l’imperativo diventa quello di mettere insieme la maggior quantità possibile di spettatori, spesso a scapito della qualità effettiva dei programmi.
È possibile invece pensare ad un modello totalmente differente di televisione, dove a prevalere sia soprattutto la natura di strumento di acculturazione e di emancipazione di tale mezzo, nel solco dei molti esempi che sono stati forniti in passato dalle televisioni pubbliche operanti in vare nazioni. A cominciare dalla celebre BBC in Inghilterra e, nel nostro Paese, da quell’innovativa rete che è stata la RAI 3 diretta negli anni Ottanta da Angelo Guglielmi.
Vanni Codeluppi
Docente dell’Università di Modena e Reggio Emilia
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