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Apr 11, 2012 Attualità, Italia
Nel caos e nel dramma delle cronache giovanili di questi mesi, Mimmo Sorrentino, un autore e regista teatrale nato a Salerno nel 1963, rappresenta un esempio perfetto di commistione tra verità e finzione. Conosciuto per spettacoli come: Nel libro di Mastronardi, Bingo, Il messaggio, Quesalid, e tanti altri, ha insegnato nel 2009 “teatro partecipato” presso la scuola Paolo Grassi di Milano. Il suo metodo di lavoro prende spunto da un metodo proprio delle scienze sociali “l’osservazione partecipata”. Osservazione partecipata vuol dire che il ricercatore prende parte, quindi partecipa, alle attività di un gruppo, ed è lui stesso coinvolto nelle dinamiche decisionali che la sua ricerca produce. Con questo metodo Mimmo ha lavorato in contesti e realtà sociali difficili come ad esempio in quartieri di periferia, comunità che ospitano giovani stranieri, ricoveri per anziani, centri per diversamente abili, centri di recupero per tossicodipendenti e campi rom, riuscendo ogni volta a mettere in scena uno spettacolo, con attori che non sono attori professionisti ma che grazie a lui lo diventano, fosse anche solo per una singola messa in scena.
La vera grandezza di Mimmo, il vero miracolo che lui compie in ognuno dei suoi lavori è proprio quello di riuscire a portare il teatro laddove il teatro non c’è, o meglio in quei luoghi in cui forse a tutto si potrebbe pensare tranne che al teatro o all’arte in generale. Ed è proprio questa la vera grandezza di Mimmo quella di riuscire a portare il teatro fuori dal teatro, nel mondo per dirla in breve.
L’ultimo suo spettacolo andato in scena a Milano è stato Ave maria per una Gatta morta, al Teatro Ringhiera. Uno spettacolo per nulla semplice: sulla scena un gruppo di giovani di periferia, con tutti i problemi dell’adolescenza sommati a quelli del disagio sociale. Giovani appassionati di rap, giovani che si ritrovano ad aprire un sito web un po’ per gioco, un po’ per il piacere di mettersi in mostra. Ma il confine tra il gioco e lo squallore della realtà è molto sottile. Giovani che si ritrovano a girare un video porno e poi a pubblicarlo sul sito stesso. Il video viene scoperto e i ragazzi finiscono davanti al giudice. Giovani che fanno cazzate come tutti quanti del resto, a quell’età, quando si è giovani. Ma il confine tra le cazzate piccole, che si possono risolvere e quelle giganti da cui non si può tornare indietro è molto sottile. Giovani che si ritrovano ad intonare un’ Ave Maria, non più però a ritmo di rap. Un’Ave Maria per la Gattamorta, una giovane Ofelia diventata pazza per colpa forse di una realtà troppo difficile da gestire.
Lo spettacolo colpisce per diverse ragioni: perché in scena ci sono ragazzi giovanissimi, perché le storie che Mimmo racconta sono storie vere che lui ha raccolto in giro, durante i suoi laboratori, ma soprattutto perché in scena c’è la realtà nuda e cruda, quella vera in tutti i sensi. La realtà di tutti i giorni, quella della periferia, quella delle panchine piene di giovani che non sanno cosa fare del proprio futuro, un futuro troppe volte rubato dai grandi che non riescono a capirli. Mimmo attraverso il suo lavoro riesce a far riflettere sulla realtà chi il suo teatro lo guarda, e nello stesso tempo riesce ad avvicinare a sé stesso chi il suo teatro lo fa. Lui stesso dice che una cosa fondamentale che insegna il teatro a chi lo pratica è proprio quella di avvicinare a sé stessi, rigenerare le proprie emozioni, guardare ciò che si ama. A questo serve il teatro.
Paola Tudino
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