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Feb 10, 2012 Terza Pagina
“[…] -Sono di pietra-dice la pietra- e devo restare seria per forza. Vattene via. Non ho i muscoli del riso.[…]”
“Conversazione con una pietra” Wislawa Szymborska
Si è spenta lo scorso primo febbraio a Cracovia, una delle più grandi menti dei nostri tempi: Wislawa Szymborska. Poetessa, filologa e saggista polacca vinse il premio Nobel nel 1996. Le sue raccolte poetiche, edite da Scheiwiller e Adelphi, sono state tradotte in Italia dal grande Pietro Marchesani. Facile alla lettura, chiara e semplice la sua è una poesia che definiremmo insidiosa, che ti fa riflettere per ore ed ore dopo averla letta e che a volte anche dopo giorni interi ti ritorna alla mente con qualche suo verso tagliente come una lama.
Purtroppo la poesia,oggi non gode di buona fortuna, e questo non solo in Italia purtroppo, tant’è che lei stessa ne era consapevole quando scrisse Ad alcuni piace la poesia . Qui infatti scrive che la poesia piace “ad alcuni / cioè non a tutti/e neppure alla maggioranza, ma alla minoranza” forse a due su mille. Ma nonostante questa sua consapevolezza lei di poesie ha continuato a scriverne e di meravigliose anche.
Scherzare sulla morte, sulla vita o sull’amore non è cosa da tutti eppure lei ci è riuscita alla perfezione. Soprattutto forse non è cosa da poeti, in particolare quando ce li immaginiamo come esseri seri e pensosi intenti a scrivere endecasillabi e settenari rinchiusi nel proprio studiolo, o intenti a riflettere su problemi e verità universali. La Szymborska invece nelle sue poesie riesce ad esprimere e a raccontare con leggerezza ed ironia il quotidiano, le piccole cose di tutti i giorni, e con la stessa leggerezza, ironia ed autoironia riesce a parlare anche di grandi temi come la morte e l’ amore. Persino della sua morte, scrivendo una poesia intitolata Epitaffio che recita così: “Qui giace come virgola antiquata/l’autrice di qualche poesia. La terra l’ha degnata/dell’eterno riposo, sebbene la defunta/dai gruppi letterari stesse ben distante […]”.
Il critico polacco Ryszard Matuszewski ha scritto che le poesie di Wislawa Szymborska da un lato ci costringono a pensare e dall’altro ci commuovono. Ed è proprio quello che accade quando si ha tra le mani una qualunque delle sue meravigliose raccolte poetiche. Guai a voler cercare nella poesia delle verità universali, delle risposte ai grandi perchè della vita. La poesia non deve darci delle risposte ma al massimo può offrirci delle domande, il suo compito è soltanto quello di farci riflettere sulla nostra condizione di esseri umani, di esseri mortali con un’anima che “la si ha ogni tanto”, di esseri fatti di “incanto e disperazione”.
A nostro avviso una delle sue poesie più belle si intitola Cipolla. Qui la poetessa parla della perfezione della cipolla, perché “La cipolla è un’altra cosa/interiora non ne ha./Completamente cipolla fino alla cipollità”. La cipolla viene qui assunta quale simbolo della perfezione perché dentro l’una sta l’altra, insomma lei è talmente riuscita che “potrebbe guardarsi dentro senza provare timore”. La cipolla è così perfetta che potrebbe solo suscitare l’invidia di noi esseri umani imperfetti, fatti di ignoto e di “violenta anatomia”. Ma invece non è affatto così perché la ricerca della perfezione, nostra ambizione da sempre, è in realtà una sciocchezza, è solo un’idiozia. Perché come recitano questi meravigliosi ultimi versi della poesia: “la cipolla, d’accordo: / il più bel ventre del mondo./A propria lode di aureole/ da sé si avvolge in tondo./In noi-grasso, nervi, vene,/muchi e secrezioni./E a noi resta negata/l’idiozia della perfezione.”
Paola Tudino
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