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Gen 24, 2012 Cosa bolle in Pentola
L’ultimo film di Clint Eastwood, “J. Edgar”, prende il nome dall’omonimo funzionario e politico statunitense J. Edgar Hoover il quale lavorò all’FBI per oltre mezzo secolo . Nel film Edgar è già vecchio, intento a dettare a dei giovani giornalisti la sua biografia e le sue imprese che poi si scopriranno essere tutt’altro che vere.
In questo modo veniamo a conoscenza di quella che è stata tutta la sua vita al servizio dell’FBI dagli anni ’20 agli anni ’70 del ‘900. In questi anni in America accade di tutto: sono gli anni dei gangster, delle Pantere Nere, del Movimento per i diritti civili di Martin Luther King, del Ku Klux Klan, dell’omicidio di Kennedy e della Guerra Fredda.
La figura che ne traccia Clint Eastwood è quella di un uomo molto ambizioso ma soprattutto molto potente, che finirà per dedicare tutta la sua esistenza al suo lavoro e al ruolo da lui ricoperto. Ossessionato dalla sicurezza del paese Edgar vede possibili nemici ovunque, siano essi criminali, comunisti, radicali devono essere combattuti ed eliminati con ogni mezzo: minacce, violenza, infiltrazioni e indagini spesso illecite.
Un uomo forte, ma allo stesso tempo molto fragile. Infatti aldilà delle vicende storiche e politiche che si susseguono una dopo l’altra (in maniere a volta un po’ confusa) il film ci restituisce soprattutto il lato umano di quest’uomo, ossessionato oltre che dal suo lavoro anche dal rapporto con la madre.
Una madre autoritaria che vuole a tutti i costi, fin da bambino, che il figlio diventi qualcuno. Edgar riuscirà a diventare qualcuno e a non tradire le aspettative della madre ma il prezzo da pagare sarà altissimo, infatti sacrificherà tutti i suoi affetti e tutta la sua felicità per questo . Non si sposerà mai, e pare che fosse legato sentimentalmente a Clyde Tolson un suo stretto collaboratore, infatti già a partire dagli anni ’40 si vociferava sulla sua presunta omosessualità.
Il film nel complesso è ben riuscito ma in alcuni tratti rischia di diventare noioso e pesante, non fosse per la magistrale interpretazione di Leonardo Di Caprio. Inoltre cade con troppa facilità nel cliché freudiano per cui l’omosessualità si svilupperebbe dalla presenza di una figura materna forte, autoritaria ed ingombrante oltre che da un legame ossessivo con questa. Ma la cosa peggiore del film è forse il trucco con cui sono stati invecchiati gli attori. Da Naomi Watts, a Leonardo Di Caprio e soprattutto Armie Hammer, i loro volti da vecchi sono posticci e sembrano quasi fatti di gomma. Ma chissà che questo trucco non sia stato cercato e voluto proprio con l’intenzione di mostrare come la corruzione incida anche sulla vecchiaia e sul corpo oltre che sull’anima. Forse il problema però non è nel film in sé ma nelle aspettative che vi si erano create intorno. Da un grande regista come Clint Eastwood ci si aspettava un altro grande film, al pari di “Million Dollar Baby” o “Gran Torino” ma così non è stato.
Paola Tudino
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