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Ott 25, 2011 Attualità, Italia
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“A volte devi fare qualcosa di imperdonabile per poter continuare a vivere”
Questa è la frase con cui Jung ( interpretato da Michael Fassbender ), nel film di David Cronenberg presentato all’ultima Mostra cinematografica di Venezia: “ A dangerous method”, confessa il motivo reale che lo ha portato ad allontanarsi dall’amata paziente Sabine Spielrein interpretata da Keira Knightley.
Tornando così , infelice, con la moglie facoltosa e lasciando andare Sabine a rifarsi una vita: si sposerà, avrà dei figli, una carriera importante prima di essere fucilata dalle forze di occupazione naziste insieme alle due figlie, a Rostov sul Don nel 1941.
Arrivata giovanissima nella clinica psichiatrica di Zurigo, viene affidata alle cure di Jung che con lei inizia l’analisi psicoanalitica di Freud.
Una volta guarita, si specializza nel campo della psicoanalisi e della psicologia infantile e diventa così direttrice dell’asilo bianco, fondato da Vera Schmidt.
Un vero e proprio esperimento per quell’epoca, un luogo dove i bambini venivano fatti crescere in assoluta libertà, per aiutarli così a diventare veramente uomini liberi.
Un film sulla storia personale, professionale e sentimentale che lega questa donna a Jung che, a sua volta, parla e si confida con il maestro, quel Sigmund Freud da cui sarà legato da un rapporto paterno di amore ed odio.
Cronenberg ha un modo essenziale e pulito nel raccontare questa vicenda che lega Jung e la Spielrein in un sentimento complesso, forte ed intenso.
Diverso per esempio dal film: “Prendimi l’anima” diretto da Roberto Faenza, che nel narrare le vicende sentimentali dei protagonisti, ne tratteggia gli aspetti più profondi, in un turbine di sentimenti e di sconvolgimenti emotivi che lasciano il segno.
Cronenberg a differenza di Faenza è meno poetico, più didascalico e anche più crudo nel rappresentare una vicenda che ha appassionato molti dopo il ritrovamento casuale di un carteggio tra Jung e Freud, relativo proprio al rapporto del primo con la sua paziente.
Un amore impossibile, difficile nei rispettivi ruoli dei protagonisti, in un rapporto speculare tra i due: Sabine dapprima paziente, poi amante ed allieva e, infine, collega.
Jung che, invece, veste i panni prima di Medico curante, poi di amante, di insegnante e infine di collega della Spielrein.
In un sentimento sempre più forte, intenso e ingestibile i due decidono di allontanarsi e di (ri)cominciare a vivere: solo così i due possono tornare ad essere loro stessi. O forse, come nelle più grandi storie d’amore, la cosa più giusta da fare è fuggire l’uno dall’altro.
“A volte devi fare qualcosa di imperdonabile per poter continuare a vivere”
Norman di Lieto
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