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Gen 17, 2011 Attualità, Italia
Il nostro editoriale sui giovani vecchi ha suscitato più di una reazione. Ci hanno scritto genitori e figli, giovani e meno giovani. Tra il materiale inviato, abbiamo scelto di pubblicare un contributo che non è una lettera, ma ha il taglio e lo stile di un pezzo giornalistico.
Capita che ti ci ritrovi per caso. Perchè non sai cosa fare, e hai bisogno di cambiare aria. Perchè hai avuto una giornata pesante, hai litigato con tua madre o semplicemente hai voglia di passar del tempo insieme a lui, a loro. Uso il plurale perchè so di esser fortunato: quel lui in verità sono molteplici, almeno per quanto mi riguarda. Quelli veri si contano sulle dita delle mani, ma ci sono, ed è un tesoro da custodire, di questi tempi. Con loro so di poter condividere ancora tanto, e non solo dei link su facebook.
Chiami lui perchè sai che non ti sbagli, perchè non hai bisogno di cambiarti, non è una donna e ti accetterà anche in tuta. Non ha pretese, gli va bene tutto. C’è se vuoi far casino o se hai bisogno di sfogarti. Ci mangi una pizza insieme o ti guarda inerme divorarti chili di gommose. Proprio per questo si chiama amico. Un amico che ti conosce da sempre, stesso genere di bravate, i viaggi all’avventura e i sogni condivisi nel cassetto. Le serate di baldoria e i cinema del martedì sera. Champagne ma anche e soprattutto pop-corn. Anzi, nachos.
Poi finisce che fuori stai bene e capisci è una di quelle sere speciali. Così banali, tant’è normali, ma particolari. Le chiacchiere infinite, la camomilla delle due del mattino e tante, tante verità.
Queste sono le serate migliori da cui ripartire. Da cui riprendere il filo del discorso, quei monologhi senza fine con se stessi per ricordarti chi sei, da dove vieni, ma soprattutto dove vai. Parli del più o del meno, di donne e politica, calcio e retorica. Ti ritrovi così, a 25 anni, così tanti che se non stai attento, in un attimo sei già vecchio. La nostra è un’età strana. Non sai come sentirti, un giorno sei un monello e quello dopo un saggio consumato tra letterature e alcool, giovani Bukowsky crescono. Perfino gli altri non sanno come prenderti. Non ti capiscono, non sanno se di fronte hanno il solito ragazzino senza sale in zucca o l’ometto che si sta formando.
Alla nostra età, dicevamo, puoi cominciare ad abbozzare una cartina tornasole. Economicamente, si parlerebbe di costi e ricavi, stato patrimoniale e tavola del reddito. Cos’è l’azienda di te stesso? Quali sentimenti produce? La tua personalità esce ad un prezzo di mercato competitivo? Quello che hai fatto, da dove sei partito, cos’hai ottenuto e cosa vorresti. Brainstorming, freccettine, schemi o tabelle. Puoi sintetizzarla come vuoi la tua vita, ma dopo v e n t i c i n q u e a n n i, hai tutti i dati per farlo.
Ed è proprio davanti a quella camomilla che riesci ad essere onesto con te stesso e con il tuo amico. Riesci a guardare alla cartina insieme a lui perché sai che ti comprende, perché sai che non ti sputtanerà, sarà accanto a te in questo viaggio. Forse egli è lì proprio per essere lo specchio delle tue ambizioni e delle tue preoccupazioni, perché a volte ti basta saper di aver qualcuno di fronte per essere più onesto con te stesso. E finisci per parlare di tutto, degli amici comuni, di carriere mancate o di carriere future. Con l’aria consunta di chi la sa lunga, del quarto di secolo molto rock’n’roll, parli come se le avessi viste tutte, dal muro di Berlino allo scioglimento delle Spice, ma come se ti aspettassi ancora di vederne altrettante, come se la tua vita reale fosse ancora ai nastri di partenza. E allora chi siamo, noi giovani vecchi?
Le riflessioni e le domande si accavallano, e finisci per chiederti se sei il primo degli sfigati o l’ultimo dei fortunati. Finisci per ammettere che hai tanto, ma che vorresti di più. E io vorrei quello che hai tu, mentre tu vorresti ciò che ho fatto io. Un bel casino a volte la vita. Però è bella, bella da morire. Fantastica perché ci lascia qua a pensare, a sognare, perché tutto è ancora realizzabile, perché pensi di poter fare e dare ancora tanto. Pensi che la tua vita non è tutta lì e questo vuol dire tanto, nell’Italiaccia bistrattata di oggi. E’ vero, razionalmente sappiamo tutti che sono cazzi amari, crescere oggi. Zero prospettive, gente disoccupata a zonzo, la società che cade a rotoli. Arrabattarsi per arrivare a fine mese somiglia sempre più ad un tiro di dadi: devi pagare le tasse universitarie, non vai via il fine settimana. Esci a cena una sera di troppo, e ti salta il cinema della domenica. Ci si mettono anche i Maya a dire che il mondo sta per finire, manca solo Silvio a dirci che è immortale, e poi potremmo abbassare la saracinesca.
Ma non è tutto grigio il nostro domani, e te lo dice la tua analisi di bilancio, la cartina tornasole che stendi in queste serate sul tavolo dell’onestà. Il vantaggio, rispetto a prima, è che ora hai gli occhi per guardarla, la bussola per interpretarla. Ora riesci a toccare con mano ciò che ci è dato, mentre prima nemmeno te ne accorgevi. Prima avevi lo scooter ed eri il re del mondo e il cellulare che suonava era un nuovo innamoramento. Oggi no, lo scooter è impolverato, il telefono suona meno, ma hai capito che l’amore ha forme e colori diversi, che un messaggio non è niente, ma una carezza rasenta il tutto. Oggi sai che il conto in banca non è quello del monopoli e che se vai in rosso stai fermo un giro. Ma è bello così. Perché se anche stai fermo un giro, sai che ci sono loro, gli amici. E che a quel giro penseranno loro. Due vodke e un limoncino.
Capisci di essere tra quei fortunati, e ti addormenti col sorriso.
Davide Angeli
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