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Nov 03, 2010 Attualità, Italia
Il concept store è nato negli anni Ottanta ed è uno spazio di vendita le cui componenti ruotano attorno ad un unico tema. Uno spazio di vendita, cioè, basato su una vera e propria messa in scena spettacolare e su un’offerta di prodotti appositamente selezionati per dare vita ad un concetto omogeneo. Ralph Lauren è stato il primo a praticare questo modello e lo hanno seguito in tanti: Banana Republic, Timberland, Laura Ashley, ecc.
Oggi, però, il concept store tematico appare sempre meno attuale di fronte a consumatori caratterizzati da un crescente livello di eclettismo. Nelle loro scelte, infatti, mescolano indifferentemente prodotti di lusso e prodotti del discount, alimenti edonistici e alimenti biologici. I tradizionali modelli di riferimento sono andati in crisi e gli individui devono necessariamente seguire un personale processo di costruzione d’identità che procede per prova ed errore. Così, cercano di fare le loro esperienze all’interno della gamma più ampia possibile di proposte.
La distribuzione di conseguenza si adegua: allarga progressivamente la sua offerta e sembra proporre, anziché un concetto omogeneo, spazi articolati che contengono numerose merceologie e richiamano i vivaci bazar del passato. Ma questo in realtà è un altro concetto. Naturalmente, la formula viene rivisitata: il bazar è aggiornato nel suo aspetto e soprattutto presenta una selezione di prodotti che viene da qualcuno che si pone come il garante della qualità di tale selezione.
In passato alcuni punti vendita pionieristici avevano già tentato di praticare questo modello. A Milano, ad esempio, l’hanno sperimentato Fiorucci, High Tech e 10 Corso Como. Mentre all’estero hanno praticato questo modello Conran Shop a Londra, Vinçon a Barcellona e Colette a Parigi. Ma oggi il modello del bazar contemporaneo, trascinato dalla sua attualità culturale, si va sempre più sviluppando e arricchendo di varianti.
Il successo dei nuovi concept stores deriva anche dal bisogno del consumatore odierno di un contatto fisico con gli ambienti. La realtà sempre più comunicativa e “dematerializzata” in cui si trova lo spinge infatti a cercare per compensazione delle esperienze da vivere con il corpo e con i sensi. D’altronde, anche quella modalità esplorativa che il consumatore adotta in maniera crescente nelle sue scelte comporta la ricerca di un contatto diretto con i prodotti. Come è sempre avvenuto del resto anche nei bazar e nei mercati tradizionali, luoghi caratterizzati da una completa immersione sensoriale.
Le imprese, perciò, cercano sempre più di assecondare questo bisogno di fisicità del consumatore creando spazi che tentano di stimolare tutti i sensi. Oggi un punto vendita deve avere un suo profumo e un suo stile musicale e deve anche saper impiegare luci e materiali per coinvolgere simultaneamente mente e corpo dei clienti. Anche perché, di fronte ad un consumatore “iperstimolato”, è necessario saper comunicare utilizzando, oltre ai canali tradizionali, nuovi canali: la sorpresa, l’esperienza, l’emozione.
Vanni Codeluppi
Docente dell’Università di Modena e Reggio Emilia
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