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Gen 20, 2021 Cultura, Teatro & Cinema
Pupi Avati e Filippo Velardi sul set, foto di Sara Gautier
L’8 febbraio debutterà su Sky Cinema Lei mi parla ancora, film diretto da Pupi Avati, liberamente tratto dall’omonimo libro di Giuseppe Sgarbi, padre del critico d’arte Vittorio Sgarbi e dell’editrice Elisabetta. Farmacista di professione e appassionato di arte, Nino – come viene chiamato da familiari e amici Giuseppe – esordisce come scrittore a 93 anni con il romanzo Lungo l’argine, vincitore del premio bancarella; dopo 2 anni pubblica una sorta di diario che celebra la sua storia di amore con la moglie Caterina Cavallini, dal titolo, appunto, Lei mi parla ancora.
Alla base della sceneggiatura di Pupi e Tommaso Avati vi sono i ricordi che Nino racconta ad Amicangelo, un editor che lo affianca per scrivere un romanzo alla morte dell’amata moglie proprio sulla loro vita insieme. Un cast d’eccezione fa corona a questa storia d’altri tempi: Renato Pozzetto – che in questa occasione ritorna al cinema dopo una prolungata assenza – e l’iconica Stefania Sandrelli interpretano Nino e Caterina da adulti, mentre i brillanti Lino Musella e Isabella Ragonese rappresentano la versione giovane della coppia. Fabrizio Gifuni, premiato e affermato attore, veste i panni del ghostwriter Amicangelo, e poi ancora Chiara Caselli, Alessandro Haber, Serena Grandi, Gioele Dix e Nicola Nocella.
Nel film, il giovane emergente Filippo Velardi veste i panni di Bruno Cavallini, fratello di Caterina, ruolo che poi passerà ad Alessandro Haber. Filippo ha già una buona carriera maturata in teatro, cinema e fiction televisive. In molti lo hanno visto di recente interpretare il dott. Fontana nella serie Nero a Metà 2, andato in onda su Rai 1.
Partiamo dalla trama del film. Filippo, perché, secondo te, la storia d’amore tra Nino Sgarbi e Caterina Cavallini merita di essere raccontata?
Per i tempi che stiamo vivendo, secondo me, questa storia d’amore è uno spiraglio di luce tra le tenebre. Si tratta di un’unione salda, durata 65 anni, qualcosa che si avvicina molto all’idea di amore eterno, perché addirittura continua anche nell’assenza di lei. Questa storia, infatti, racconta un legame forte, testimonia il valore sacramentale del matrimonio e addirittura va oltre. Per usare le stesse parole di Giuseppe Sgarbi, la promessa degli sposi di amarsi “fin che morte non vi, ci separi è il minimo sindacale”, visto che l’amore di questo uomo continua a pulsare anche dopo la morte della moglie. Può sembrare assurdo e paradossale, invece sono sentimenti reali, che hanno sfidato il tempo e l’assenza.
Sei entrato in un progetto cinematografico di prim’ordine, hai lavorato con regista e attori che hanno fatto e continuano a fare la storia del cinema italiano. Cosa ti ha sorpreso di questo set?
Ho avuto la fortuna di lavorare con colleghi e con una troupe sempre molto presenti, attenti e premurosi. Mi ha sorpreso il clima che si è venuto a creare sul set. I tempi della fiction, ad esempio, sono diversi da quelli del cinema. Nella fiction tutto è molto veloce, estemporaneo. Nel cinema, come quello di Pupi Avati, i ritmi sono volutamente più lenti, si vive l’attesa di entrare in scena, la fase di preparazione è intensa e ogni dettaglio viene ampiamente curato. Io posso dire di essermi trovato in un ambiente molto accogliente. Non solo quella di Pupi, ma anche la presenza del fratello Antonio, produttore, e della figlia Mariantonia garantivano al lavoro di scorrere senza sbavature. Per me Pupi è stato come un padre che mi ha preso per mano dandomi questa grande opportunità e facendomi sentire artisticamente un suo figlio. Mi ha messo a mio agio.
Ti senti cresciuto come attore dopo questa esperienza?
Essere diretto da Pupi Avati è stato per me un privilegio, che mi ha assicurato maggiore determinazione e sicurezza, indispensabili in questo lavoro. Pupi sul set è presente con tutta la sua ‘poetica’: lavora su ogni personaggio, dialoga con l’attore fino a farlo entrare in quella profondità esistenziale che deve caratterizzare ogni singola scena. Le volte che non sta dietro al monitor è perché segue direttamente gli attori sulla scena, li indirizza e li guida fin quando tutto non sia conforme alle sue aspettative. Grazie a lui, ma anche grazie alle precedenti esperienze teatrali, ho molto lavorato su me stesso fino a riuscire ad anteporre la persona all’attore. In questi ultimi tempi ho imparato ad accettarmi come sono, a tollerare i miei difetti e a rinunciare alla perfezione di un attore ideale per lasciare spazio alla mia originalità, per quella che è.
Interpretare un personaggio vuol dire calarsi nella vita di un’altra persona e in qualche modo di interiorizzarla. Cosa ti ha donato il tuo Bruno?
Sicuramente la possibilità di entrare in un mondo e in un’epoca che non conoscevo. Bruno è stato un professore e un critico letterario, un personaggio colto e eclettico che spesso recensiva con passione opere d’arte e pellicole cinematografiche. Mi ha molto colpito, calandomi nei panni del giovane Bruno, dover parlare di Dio, senza il quale l’uomo vivrebbe in un “vuoto senza fine”. E poi mi sono stupito per i diversi punti di assonanza con la mia vita, questa continua ricerca dell’autenticità della vita e dell’arte tra classico e moderno, tra passato e presente. Come lui provo diletto nella poesia, sono un amante della pesca e sono un fratello protettivo. Ed è stato curioso che come nel film il giovane Bruno assistesse al matrimonio della sorella – interpretata da Isabella Ragonese – , così io ho assaporato la gioia di partecipare al matrimonio della mia una settimana dopo aver finito le riprese.
Il mondo dello spettacolo sta soffrendo molto a causa della pandemia; nonostante tutto bisogna andare avanti. Quali sono i tuoi prossimi progetti?
Il momento è drammatico, teatri e sale sono chiusi e non sappiamo quando e come ne usciremo. Io ho avuto la fortuna di essere anche doppiatore e quindi in questo periodo sono stato impegnato, ad esempio lavorando per le serie Netflix. Sono sempre più proiettato verso la televisione, la fiction e il cinema. Adesso, sono impegnato nelle riprese di una miniserie di quattro puntate, Alfredino – Una storia italiana, un progetto Sky che ripercorre la tragica storia del bambino caduto in un pozzo nei pressi di Vermicino nel 1981, ma non posso negare che il mio sogno continua ad essere il cinema.
Appuntamento, allora, l’8 febbraio su Sky Cinema e in streaming su NOW TV.
Angelina Marcelli
Giornalista & Docente universitaria
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