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Ago 15, 2019 Arte & Musica, Cultura
Foto di Luciano TuEm Grisolia
In occasione del Calàbbria Teatro Festival di Civita, abbiamo avuto modo di accostarci al mondo dell’urbex grazie a Luciano TuEm Grisolia, che ha esposto diciotto scatti in una personale dal titolo “Le rovine dell’anima”, visitabile a palazzo Castellano fino al 18 agosto.
L’urbex, abbreviazione di urban exploration, sta letteralmente esplodendo fra fotografi professionisti e amatoriali. Su Instagram – solo per far capire l’entità del fenomeno – l’hashtag #urbex ricorre sette milioni di volte. Consiste nel fotografare luoghi nascosti, dimenticati e fatiscenti. La ricerca ruderi ormai in disfacimento può essere molto impegnativa, così come la tecnica fotografica adottata per far rivivere queste rovine sta assumendo connotati sempre più precisi seppur sperimentali.
Le immagini catturate dagli urbex conquistano la sensibilità di chi guarda e suscitano emozioni forti e spesso contrastanti. In ogni caso sono fotografie che non lasciano indifferenti nemmeno l’osservatore più sbrigativo.
Luciano TuEm Grisolia è un urbex calabrese autodidatta e da quattro anni va alla ricerca di antiche vestigia, che trasforma in set fotografici. Il risultato che riesce ad ottenere – non è sfuggito alla critica – è mozzafiato: le sue foto hanno un’impronta molto originale, innovativa e ben definita. Diversi suoi scatti sono stati pubblicati sul sito di Vogue Italia proprio perché belli e tecnicamente impeccabili.
Il senso della sua arte è sintetizzata in un’istallazione posta al centro della sala espositiva che abbiamo visitato: un manichino nudo che indossa solo un passamontagna bruciacchiato in testa, nell’atto di porgere un origami ad una mano di bimbo che fuoriesce da una cornice.
Il manichino rappresenta un adulto che vorrebbe ripulirsi da tutti i mali e da tutte le sofferenze che ha provocato e così, offrendo un origami che simboleggia l’innocenza, invita il bambino che è in sé a uscire per riappropriarsi della purezza e della pace perduta.
C’è qualcosa che accomuna tutti questi scatti?
Innanzitutto sono tutti il frutto di una mia personale ricerca interiore, che mi ha spinto ad andare alla scoperta di luoghi abbandonati. In tutte le immagini ci sono delle costanti: l’uomo che fotografa e non si vede, autore del male; poi la sofferenza che scaturisce dal male, che è rappresentata dalle figure femminili e infine i luoghi abbandonati, cioè le rovine dell’anima. Le rovine, secondo me, sono metafore del male che l’uomo è in grado di fare. Io stesso mi sono lanciato in questa forma d’arte che è la fotografia e l’esplorazione urbana dopo aver realizzato che potevo essere capace di far soffrire anche le persone che più amavo. Questo è il mio cruccio e la fotografia è la mia terapia.
Guardando le fotografie si coglie sofferenza, ma anche agitazione, ansia, rassegnazione. Ogni tanto qualche riflesso più acceso di luce e qualche colore sembra parlare di speranza; credi che sia possibile cogliere in maniera univoca il messaggio di questi scatti?
Ogni singola foto contiene un preciso messaggio, codificato attraverso il mio personale modo di costruire lo scatto. Ovviamente per me il significato è chiarissimo, ma capisco che la decodifica del messaggio possa risentire anche dello stato d’animo di chi osserva. La condivisione delle immagini è in fondo una forma di dialogo tra me e chi osserva. Il mio obiettivo è quello di cercare un rimedio per le intime sofferenze delle anime in rovina.
Luciano è un ragazzo molto giovane e, a dispetto di quello che racconta, sembra tutt’altro che capace di causare sofferenze ad altre persone. Eppure questo suo colpevolizzarsi è sfociato in una forma d’arte così creativa che forse non vale la pena augurargli la pace interiore!
Angelina Marcelli
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