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Gen 25, 2010 Attualità, World Wide
New York
Tutte le città del mondo, anche le più piccole e insignificanti, hanno un carattere che le contraddistingue una dall’altra. A caso: Roma è caotica e disordinata e pare accoglierti a braccia aperte, Milano è più distratta e fredda, Firenze ti assale con la sua storia e l’apparente simpatia dei toscani. In Europa: Parigi ti apre le porte con la sua forza figurativa e un incombente romanticismo, Londra invece è più astratta e riservata, come un’elegante dama dell’aristocrazia.
Poi New York. Una città unica, diversa, senza un volto ben definibile, dolce e violenta, ruffiana e schietta, indolente e indaffarata. A parere di chi scrive è una città jazz. Così come avviene nella musica è l’improvvisazione a farla da padrona in questa metropoli capitale del mondo intero. Si inizia presto al mattino. Alle sei già c’è un grande movimento, piano piano aprono i tanti negozi che vendono di tutto e la gente incomincia a muoversi, di corsa, a piedi, con i mezzi pubblici. Tante formiche che si muovono, ognuna per la propria strada, con il turbo. A parte qualche homeless e i perdigiorno, tutti sembrano correre dietro a qualcosa o qualcuno. Ad uno sguardo distratto tutto sembra funzionare perfettamente, nella realtà il funzionamento della Grande Mela è molto più casuale di quanto si creda, anche rispetto alle altre grandi città degli States. Le giornate scorrono interminabili, fino a notte inoltrata e si va avanti, i giorni passano e i grattacieli, i palazzi di questa città moderna e antica insieme, ti fanno da cornice silenziosa, viva e illuminante nello stesso tempo. Nei negozi trovi tutto, ma un po’ per caso, tra visi di colore e tratti molto diversi che sembrano capitati lì, anche loro, per caso. Il taxi arriva, ma quasi non ti accorgi da dove, il tassista non sa la strada, la cerca. Entri in un Deli per mangiare una cosa e tutto il cibo sembra uguale, nella sua diversità e tutto sommato appetibilità. Il jazz è sempre dietro i vari blocks che d’estate ti mandano il caldo e d’inverno ti soffiano quintali di vento.Una sera poi ti capita di andare in uno dei tanti locali dove suonano il jazz e capisci che la colonna sonora di New York City è quella perbacco, sempre, altro che rap o hip hop. Entri nel tempio del jazz, nel Village, il Blue Note e ti capita, come a chi scrive di ascoltare e godere un maestro assoluto come il pianista Eddie Palmieri e non capisci più nulla. La tua vita è diventata jazz, un’improvvisazione creativa che ti fa andare avanti con il sorriso nel cuore.
Mauro Pecchenino
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