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Gen 11, 2010 Attualità, Italia
Tra tombolate, cenoni e panettoni sono passate anche queste festività. Nel rumore dei petardi e dello stappare dei tappi, il silenzio di chi soffre passa spesso inascoltato.
Avete mai passato un capodanno in corsia? A noi è capitato quest’anno!
L’esperienza è stata quasi bucolica, e per quanto la considerazione sia ovvia, ti accorgi che il dolore non va in ferie, non festeggia la vigilia e nemmeno il nuovo anno.
Il paradosso è che i medici, spesso cinici mestieranti del “dovrebbe” e del “potrebbe”, festeggiano in barba a chi, preoccupato per la propria salute e per quella dei propri cari, da giorni aspetta il responso di un esame.
Col passare del tempo il ritmo della corsia si sostituisce a quello delle tue giornate, e tra occhi lucidi, sguardi bassi e toni silenziosi, in un modo che sembra quasi irriverente, trovi anche lo spazio per sorridere di un niente. L’imbarazzo ed il pudore dei primi giorni, tra flebo, “pisciate in compagnia” di sconosciuti e notti troppo lunghe e rumorose per conciliare il sonno, lasciano lo spazio alla solidarietà vera, e il dolore di uno è condiviso da tutti.
Improvvisamente si passa, dal reparto di medicina d’urgenza al “reparto dell’amore”.
Senza nulla togliere alle capacità dei medici, credo che sia il senso della vita a spingerti fuori, ed è lì, in quel “nuovo fuori” che osservi, con occhi diversi, tutto ciò che prima davi per scontato. Cominci ad apprezzare le tue gambe, le tue braccia, i tuoi pensieri, anche i più strampalati… e in un mondo dove tutti chiedono certificazioni, t’accorgi che “aiutare” non richiede nessun certificato. Tutto quello che serve è un cuore amorevole e compassionevole: l’unica formazione richiesta è la disponibilità ad amare.
Barbara Fontanesi
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