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Feb 25, 2017 Lifestyle, Società
Per ricordare il Carnevale in Italia e nel mondo, pubblichiamo il ricordo di infanzia di un importante Carnevale salentino, a firma di un Novolese DOC
Della mia infanzia a Novoli ricordo che papà Antonio e mamma Rosa, con gli amici, dopo il 17 gennaio, finita la festa della Fòcara di S.Antonio Abate, organizzavano durante il carnevale una festa a casa nostra. Il giradischi negli anni 50 era ormai alla portata di tutti, l’occorrente per mascherarsi si poteva trovare in Piazza Regina Margherita. Nell’emporio te lu Ninicchiu Toscanu si trovavano una scelta di maschere, coriandoli, vestiti. Mentre in piazza Aldo Moro di fronte al Tempietto di Sant’Oronzo c’era un negozietto dove vendevano i confetti sfusi e presi con le mani. Io comprai confetti ripieni cu lu rusoliu, le mennule riccie, e i coloratissimi cannillini che si conservavano nella ursa. I mascherati se li procuravano per lanciarli nelle case dove venivano ospitati.
Il festino era il luogo dove si poteva ballare sino a tarda notte, purchè non arrecasse fastidio al vicinato. Poteva essere adibita a festino la camera più grande della casa, per un numero limitato di invitati. Il festino era organizzato dal padrone di casa o da una persona di sua fiducia.
L’ingresso era presieduto dal ”portinaio” (lu purtinaru), una persona di fiducia dell’organizzazione, responsabile dell’ingresso degli invitati e delle compagnie mascherate. L’ordine e la disciplina erano tenute in sala dal “caposala”, il quale animava e coordinava tutta la serata.
Lui decideva i balli e chi doveva ballare, nonché il momento dell’ingresso e dell’uscita delle compagnie mascherate, oltre al momento in cui far partire i giochi.
La Mascherata era costituita da una o più persone, tutte coperte in viso (veli, mascherine, maschere). Garantiva per le maschere il “conduttore”, persona maggiorenne, uomo o donna, ma comunque conosciuta in loco.
Questi era responsabile delle maschere e della mascherata, sia per strada sia nel festino. Il conduttore unitamente alle maschere, si portava all’ingresso dei festini e, dopo essersi fatto riconoscere, chiedeva ospitalità per la compagnia da lui guidata, chiedeva: ”Cè permèssu pe le maschere?”.
Il capo sala tramite il portinaio consentiva o meno l’ingresso alla compagnia.
Al conduttore veniva chiesto dal caposala quali balli preferisse. Nel festino entrava una compagnia per volta, alla quale era riservato un posto fisso e tutte le attenzioni di ospitalità, accogliendola con applausi. Le maschere Salentine più conosciute erano “Lu Titoru di Gallipoli e lu Paulinu di Martignano”.
A musica iniziata, il caposala invitava maschere e conduttore al ballo: “Maschere e conduttore possono invitare”. Le maschere, solo dopo essere state autorizzate, potevano invitare al ballo i cavalieri del festino e solo questi. Il conduttore, dopo le maschere, invitava al ballo una dama se uomo, un cavaliere se donna. I componenti del festino non potevano rifiutare il ballo, né alla maschera né al conduttore. Il capo sala, a propria discrezione, decideva quanti balli concedere alla compagnia. In ogni modo, al momento di congedarla, ringraziava la stessa con la frase: ”Ringraziamo maschere e conduttore”.
Seguivano applausi a ritmo e suon di musica. Alle 24 dell’ultimo giorno (martedì) il capo sala esclamava: ”Chiangiti lu carniale è muertu”.
Ersilio Teifreto
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