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Ott 26, 2016 L'editoriale
Come era già accaduto per Dario Fo, ci sono polemiche per il premio Nobel assegnato a Bob Dylan. L’artista, con il suo carattere a dir poco originale, alimenta poi il fuoco dello sdegno a buon mercato, non degnando di attenzione i parrucconi svedesi. Molti sostengono che Dylan c’entri poco con la letteratura. A parer nostro, la forza di Bob Dylan, oltre alla musica che, fin dall’antichità accompagnava comunque la parola, è la capacità di rendere la sua parola universale. Le parole di Dylan arrivano a tutti, indignano, commuovono, fanno discutere, fanno venire i brividi, scuotono, comunicano, non lasciano mai indifferenti. Negli anni Sessanta e Settanta in particolare, ma anche dopo, il cantore del Minnesota ha saputo trasmettere al mondo un linguaggio che scuote sentimenti, riflessioni, turbamenti, antipatie: sull’amore, l’uomo, la donna, la guerra, la pace, la natura. Un linguaggio che ha portato i suoi testi ad essere un simbolo di più generazioni e, ancora in questi anni, tanti fatti, sofferenze, gioie, ingiustizie soffiano nel vento del quotidiano di ciascuno di noi.
Il Nobel a Dylan ha senso, eccome, più di tanti romanzi di autori che hanno ricevuto il premio e che nessuno ha letto, che sono rimasti un esercizio di stile e poco più. Dylan ha scritto manifesti immortali e i parrucconi di Stoccolma, anche tenendo conto che siamo al centro delle elezioni americane, non se ne sono scordati.
A presto. See you soon. A la prochaine. mauropecchenino@icloud.com
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