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Lug 16, 2009 Terza Pagina
È raro incontrare artisti musicali internazionali di fama mondiale che riescano a mantenere un profilo pubblico così discreto, così distante dal mondo patinato e, spesso finto, dello show business.
Tracy Chapman fa parte di questo ristretto gruppo, che si può ancora permettere di essere “scostante” e , sempre “fedele a se stesso”; quando molti, invece, inseguono in maniera affannosa il successo e talvolta si inventano nuovi stili musicali e di vita per non perdere il filo così sottile della notorietà.
Non sembrano trascorsi vent’anni dalla prima volta che l’artista afroamericana si affacciava nel mondo della musica con i suoi primi dischi: nel 1988 con l’album: “Tracy Chapman” e subito dopo nel 1989 con quello intitolato: “Crossroads”.
Proprio questi suoi due primi lavori, sono stati quelli della sua iniziale e, allo stesso tempo, già definitiva consacrazione.
Brani come: “Baby can I Hold you”, “Fast Car”, “Talkin’ ‘bout a Revolution” divengono subito canzoni che rimangono nell’immaginario di tutti e, ancora oggi, riproposte dalla Chapman nei propri concerti.
Il pubblico, ancora a vent’anni di distanza (ri)vive emozioni forti, da “pelle d’oca”, rendendo queste canzoni, appartenenti alla ristretta élite, delle canzoni “immortali e senza tempo”.
Il suo ultimo disco “Our bright future” è del 2008.
Sulla copertina è rappresentata l’artista che volta le spalle all’orizzonte rappresentato da due strade che si biforcano, come in un bivio.
In una sua recente intervista Tracy Chapman ha affermato che l’affascinava l’idea del bivio: l’idea della possibile scelta tra due vie, una che porta verso l’ignoto e l’altra che (ri)conduce verso il punto di partenza.
A quale gruppo appartenete cari lettori?
Norman di Lieto
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