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Apr 04, 2016 Cultura, Teatro & Cinema
Chi scrive si misura per la prima volta con una recensione cinematografica. Nelle prime 7 righe condenseremo un giudizio oggettivo, dopodiché sarà tutto lasciato al soggettivo, visto l’affetto che nutriamo per Batman e Superman (ah sì, questo il film). Girato bene, senza intoppi, senza momenti di eccessiva stasi, fatto salvo per quei pochi – necessari – a dare il tempo al regista di creare il giusto tessuto narrativo utile per sviluppare le prossime uscite che da questa prenderanno il via. Andate a vederlo se vi piace il genere e nel farlo, se siete donne, ricordate che anche il vostro uomo avrebbe il fisico di Clark Kent se fosse pagato per quello.
Passiamo al giudizio soggettivo.
Cominciamo con il regista, il quale avrebbe sbagliato – secondo molti magazine di settore – l’interpretazione dei personaggi, snaturandone l’indole e, in particolare, permettendo – badate bene – ai due supereroi di uccidere i propri nemici senza per questo scoppiare in lacrime o essere lacerati da ingestibili sensi di colpa.
Ma in che mondo un giustiziere si dovrebbe preoccupare di non far male ai giustiziati? Chiedere una pedissequa riproposizione dei soliti cliché legati ai due in questione è inutile e dannoso per la sopravvivenza del personaggio. Che il loro approccio verso il male sia mutato nel corso degli anni, risulta quanto di più ovvio possa esserci soprattutto alla luce del mondo in cui viviamo. Il male, soprattutto per Batman, è nel film una realtà viva molto più di come non succeda nell’originale del fumetto.
Passiamo alla polpa della pellicola. Poco attinente al fumetto per alcuni, troppo dark per altri, con poco humor per altri ancora e con dei buchi narrativi al suo interno secondo i puristi.
Il regista, è bene ricordarlo, si trova a dover lavorare su due personaggi molto complessi i quali, dopo essere stati descritti per anni, stanno conoscendo un’ennesima giovinezza perché inseriti in un progetto molto ampio con cui la Warner Bros e la Dc Comics vorrebbero assicurarsi un filone sullo stile Marvel.
Il fatto di descriverli in un modo finora inconsueto è l’unica possibilità che Snyder aveva per entrare nel loro mondo e farlo suo. Le tinte scure e la mancanza di colori sono un punto di vista che come tale può non piacere, così come il discorso relativo alla quasi totale mancanza di ironia, ma questo rende il film, insieme al discorso della violenza di cui parlavamo prima, un genere differente da quello dei supereroi targati Marvel. Se avesse voluto inseguire un filone già percorso da altri, per quanto proficuo, avrebbe corso il rischio di non reggere il confronto. In questo senso le critiche mosse mettendo a paragone i due universi hanno scarsa ragione di essere: “Una pallottola spuntata” è un poliziesco in senso ampio, ma difficilmente lo si potrebbe paragonare alla lettura che del genere viene data in “Seven”. Batman, del resto, non è Ironman. Molto più introspettivo e tormentato, soprattutto alla luce del lavoro fatto dalla coppia Nolan – Bale, il personaggio di Gotham doveva essere maneggiato con estrema attenzione. Il risultato è che nella sua ultima uscita, Bruce Wayne ha superato la prova a pieni voti. Ben Affleck incarna perfettamente un ricco uomo poco dedito ormai alla mondanità e molto più intento ad elaborare una vita passata a contatto con il male. Non più giovanissimo e consapevole dei rischi e delle responsabilità a cui la sua scelta lo espone, decide addirittura di sfidare un Dio.
I buchi narrativi di cui alcuni parlano partono proprio da questa eredità lasciata dall’uomo pipistrello che, questo è vero, sembra materializzarsi all’improvviso in un mondo, quello di Superman, che dista pochi minuti di elicottero da Gotham. Ma del resto le possibilità non erano molte. L’idea di far incontrare i due deve essere nata necessariamente dopo l’uscita di The Man of Steel e recuperare in questo modo era forse l’unica possibilità del regista. Infastidirsi per questioni del genere, comunque, significa cavillare inutilmente.
Il film risulta assolutamente godibile. Se un gruppo di nerd troppo legati al fumetto o i puristi del “facciamolo sempre uguale” scrivono il contrario, a loro vogliamo dedicare una frase di H. A. Dobson: “Il tempo passa, dici? Ah, no! Ahimè, il tempo resta, noi passiamo”. Fa male ammetterlo, ma anche per chi scrive l’età di pensare a Superman è passata da un po’. Incontrarlo in una sala cinematografica è un bel modo per ricordare i pomeriggi trascorsi insieme, ma per noi il kriptonyano ha ormai smesso di volare. Lasciate stare il regista, non è colpa sua se il tempo ha la cattiva abitudine di cambiare il nostro modo di guardare il mondo. I due bambini nella fila dietro alla nostra, vi assicuro, non hanno notato nessun buco narrativo.
Luca Arleo
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