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Mag 01, 2015 Attualità, Italia
Roma, dal corrispondente
Pochi giorni fa il Papa, alla presenza del Patriarca armeno Karekin II, ha parlato senza troppi giri di parole del genocidio armeno.
Lo ha fatto come è solito fare questo Vescovo atipico, poco incline al cerimoniale e all’etichetta e molto più interessato alla sostanza.
Usando il termine genocidio ha sollevato un caso internazionale attorno ad uno dei temi più dibattuti degli ultimi anni, un tema che nonostante appartenga all’ambito storico, non ha mancato di travalicare i confini accademici, per diventare materia di scontro tra Cancellerie. Al momento gli Stati che l’hanno riconosciuto ufficialmente sono una ventina, tra cui Italia e Francia la quale, insieme a Svizzera e Slovacchia, prevede addirittura la denuncia per chiunque lo metta in dubbio. Gli USA, che ospitano la più grande comunità armena all’estero, hanno in attesa di firma una risoluzione per il riconoscimento del genocidio, proposta al Congresso da uno schieramento trasversale di deputati. Ma non sarà un passaggio facile dati i legami strategici con lo stato mediorientale.
La Turchia, dal canto suo, non ha mai accettato venisse usata la G-word per descrivere i fatti occorsi tra il 1915 e il 1922, relegandoli piuttosto ad atti efferati dovuti al clima in cui si viveva a seguito delle spinte autonomiste armene e alla contemporanea pressione dall’esterno di Russia e Occidente. Nel 2014, il Premier turco ha presentato per la prima volta le condoglianze ai “figli e ai nipoti” di quegli armeni ottomani, senza però con questo accettare si parli di persecuzioni mirate contro quel popolo.
Il rifiuto di Istanbul ha natura semantica e pratica: in primo luogo respinge l’idea di uno sterminio programmato, in quanto non esisterebbero prove evidenti della scientifica persecuzione ai danni dell’etnia armena su tutto il territorio dell’allora impero. In secondo luogo perché, qualora ciò dovesse essere ammesso, probabilmente quei “figli e nipoti” di cui sopra, si rivarrebbero contro lo Stato responsabile del massacro come previsto per tale crimine.
Le parole di Bergoglio, però, vanno inquadrate in un contesto più politico che storico.
L’accusa nella sua omelia è rivolta in maniera chiara alla comunità internazionale che assiste colpevole, e molte volte complice, al massacro dei cristiani in diverse parti del mondo. In questo senso il parallelo con il caso armeno ha legittimità, e riguarda l’accidia con cui, oggi come ieri, Caino esclama “A me che importa?”.
L’aspetto storico non era, almeno crediamo, nelle intenzioni del Pontefice né potrebbe esserlo data la complessità che avvolge la questione e che richiede evidentemente un parere “tecnico”.
Diversi studiosi, difatti, si sono occupati della faccenda e la cosa sorprendente risiede nelle conclusioni contrastanti cui giungono, nonostante affrontino gli stessi avvenimenti e le medesime fonti. Nessuno nega le atrocità che avvennero e tutti condannano i fatti, ma sul termine genocidio – che prevede delle specifiche caratteristiche per configurarsi – si creano divergenze importanti, con posizioni che vanno dal riconoscimento incondizionato alla totale contrarietà a classificarlo come tale.
Dello stesso avviso deve essere stata la Corte europea dei Diritti Umani che ha concluso in un suo pronunciamento di qualche anno fa che il genocidio armeno è “una definizione legale difficile da provare”, parere legale contrastante con quanto votato in questi giorni all’Europarlamento dove i delegati si sono espressi per il suo riconoscimento.
Probabilmente la questione, come dicevamo, supera di molto le mere diatribe storiche e le conseguenze politiche di un eventuale responso super partes potrebbero creare più problemi di quanti non ce ne siano restando nel dubbio. Rimane il fatto che non possono essere – con tutto il dovuto rispetto – né il capo della Chiesa Cattolica in un’omelia, né un’assise di rappresentanti della UE, per alzata di mano, a decidere come andarono i fatti. L’aspetto politico, preponderante in questa discussione, dovrebbe passare in secondo piano davanti a quello storico, anche se il rischio è che gli storici, con le loro ricerche, scontentino i politici.
Luca Arleo
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